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Cronaca

Stefano Ansaldi: c’è una pista dietro la morte del ginecologo a Milano

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Dietro la morte di Stefano Ansaldi, ginecologo morto a Milano, originario di Benevento e con vita professionale a Napoli, c’è una pista: quella dei soldi e dei debiti.

Sulla morte dell’uomo, trovato agonizzante il 19 dicembre scorso a Milano, sta indagando l’Antimafia di Napoli insieme alla Procura di Milano.

Il denaro resta il punto cardine dell’inchiesta della Procura di Milano sulla morte del ginecologo Stefano Ansaldi.

Unico elemento certo, il medico beneventano è stato sgozzato con un coltello da cucina, ritrovato accanto al suo corpo.

Le ipotesi, invece, sono diverse: potrebbe essere stato aggredito alle spalle da qualcuno che sarebbe riuscito a scomparire senza lasciare tracce, nemmeno nelle telecamere, ma la pista più accreditata, che al tempo stesso apre a nuovi scenari, resta quella del suicidio. Non senza forti interrogativi.

Nei giorni scorsi è stato identificato l’uomo con cui Ansaldi avrebbe dovuto incontrarsi a Chiasso, in Svizzera. Un appuntamento fissato per il 19 dicembre, che però il medico avrebbe annullato con una telefonata alle 16.

Quel giorno Ansaldi, originario di Benevento, che lavorava nel suo studio nel rione Sanità e collaborava con una rinomata clinica privata dell’Arenella, ha comprato un biglietto Frecciarossa, partenza per Milano alle 14:50 e ritorno a Napoli alle 18:10. Poche ore di permanenza e con sé soltanto una valigetta, compatibili per un incontro con qualcuno senza prevedere il pernottamento.

La ricostruzione di quello che è successo dopo, ripercorsa dal Corriere della Sera, è ancora un mistero.

Ansaldi dice alla moglie, con cui vive da separato in casa, di dover incontrare un “amico di Dubai” che in quei giorni si trova in Svizzera. Viene inquadrato dalle telecamere della zona in un bar della stazione, mentre strappa dei fogli, poi in piazza Luigi di Savoia e in via Scarlatti, via Macchi e via Settembrini e fino in via Vitruvio. Alle 16 la chiamata al fiduciario svizzero per disdire l’appuntamento, pochi minuti dopo riceve la telefonata della sua assistente che ha un problema con una carta di credito. Il telefono si spegne alle 16:30.

Alle 18:06 una coppia trova Ansaldi agonizzante sotto un ponteggio, si aggrappa all’impalcatura e cade. Ha una profonda ferita alla gola. Quando arrivano i carabinieri, a terra c’è il Rolex del medico, appoggiato a terra, nel cinturino richiuso è rimasto un pezzo dei guanti in lattice che il 65enne indossava; accanto, il coltello da cucina, lama da 20 centimetri, senza impronte. Nessuna traccia di altre persone, e la coppia riferisce di non aver visto nessuno scappare.

L’ipotesi più accreditata diventa quindi quella del suicidio, anche se con varie incongruenze: perché uccidersi in quel modo, e perché farlo a Milano? Il taglio, da sinistra verso destra, è stato fatto da Ansaldi o da qualcuno alle sue spalle? I tre piccoli segni vicino alla ferita sono il segno di una esitazione prima del suicidio o sono stati causati dal divincolarsi mentre qualcuno lo tratteneva? Che fine ha fatto il cellulare, mai riacceso?

L’interrogativo più grande resta quello sul motivo per cui Ansaldi era andato a Milano e che potrebbe essere la ragione del suicidio o dell’omicidio.

Specializzato in infertilità, aveva costituito una società in Svizzera, gestita da un fiduciario, con cui avrebbe voluto realizzare una clinica a Malta in cui fare anche ricerca nucleare sui farmaci antitumorali.

Nella stessa società sarebbero dovuti confluire, ma lì non sono mai arrivati, 300mila euro ottenuti da una famiglia campana che voleva acquistare un hotel.

Ansaldi aveva chiesto 200mila euro in prestito alla clinica dell’Arenella, dicendo di dover pagare delle tasse, ma non li aveva ottenuti e in primavera gli erano state messe in protesto cambiali per 20mila euro.

In questo scenario, ricostruito dal Corriere, in cui emergono debiti, progetti e mancati introiti, secondo la Dda napoletana, potrebbe essersi inserita anche la camorra. Il medico potrebbe essersi ritrovato vittima di un giro di usura, o coinvolto in un meccanismo di riciclaggio attraverso prestanomi.

 

 

Cronaca

SANT’ANTIMO. Voti e Camorra. Condannati i fratelli dell’ex Senatore Cesaro e l’Ing. Claudio Valentino

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SANT’ANTIMO – Nella giornata di ieri, i giudici della terza sezione penale del tribunale di Napoli hanno emesso 21 condanne di colpevolezza nel processo per accordi politico mafiosi al comune di Sant’Antimo, con al centro anche le figure di Antimo, Aniello e Raffaele Cesaro, fratello dell’ex senatore di Forza Italia, Luigi Cesaro, noto alla storia come Giggin ‘a purpett.

Antimo Cesaro è stato condannato a 11 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio aggravato, mentre Aniello e Raffaele Cesaro hanno ricevuto una condanna a 10 anni e 6 mesi di reclusione per concorso esterno.

Condannato anche il dirigente comunale, originario di Casagiove e attivo in passato anche nei comuni di Villa Literno e Orta di Atella, Claudio Valentino.

L’ingegnere casertano, ritenuto l’interfaccia del clan Puca nell’Ufficio Tecnico di Sant’Antimo era imputato per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso.

Valentino è stato condannato a 13 anni.

Assolto, invece, Corrado Chiariello, ex candidato sindaco a Sant’Antimo.

le condanne:

Pasquale Puca: 5 anni e 6 mesi; Luigi Abbate: 5 anni e 6 mesi; Cesario Bortone: 13 anni e otto mesi; Nello Cappuccio: 11 anni e 5 mesi; Francesco De Lorenzo: 16 anni e sette mesi; Raffaele Di Lorenzo: 8 anni e 7 mesi;
Francesco

Di Spirito: 10 anni e 5 mesi; Raffaele Femiano: 11 anni e 10 mesi; Ferdinando Pedata: 4 anni; Camillo Petito: 15 anni e 2 mesi; Lorenzo Puca: 13 anni e 6 mesi; Luigi Puca (classe 1962): 11 anni; Luigi Puca, classe 1995: 11 anni e 6 mesi; Alessandro Ranucci: 9 anni e 3 mesi; Filippo Ronga: 13 anni e 8 mesi; Agostino Russo: 15 anni e 9 mesi;
Francesco Scarano: 13 anni e 4 mesi.

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Cronaca

Barra, 46enne perde la vita dopo forte esplosione nel suo garage

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All’ora di pranzo, in un garage di via Cupa Vicinale Bolino, nel quartiere Barra, è stata registrata una forte esplosione.
A 20 metri dal locale, a quanto pare sbalzato per l’esplosione, c’era il corpo senza vita del proprietario, Vincenzo Roselli,  napoletano, classe 1977.

Le indagini sono in corso da parte dei carabinieri della compagnia Poggioreale coordinati dalla procura di Napoli per ricostruire la dinamica dell’evento

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Caivano

Stupro di Caivano, chiesti 12 e 11 anni per i due maggiorenni del branco

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12 anni e 11 anni e 4 mesi di reclusione per i due maggiorenni ritenuti coinvolti nelle violenze sessuali subite due cuginette di 12 e 10 anni di Caivano.
E’ quanto richiesto dalla Procura di Napoli Nord, avanzata oggi dal Pubblico Ministero, Giuseppe Vitolo, al termine della requisitoria nella quale è stato evidenziato soprattutto l’aspetto umano e sociale del comune dell’hinterland caivanese in cui l’assenza dello Stato è evidente, secondo quanto sottolineato proprio dal pm.

Per il Sostituto Procuratore di Napoli Nord il personaggio perno delle violenze sarebbe stato il 18enne Pasquale Mosca, per il quale ha richiesto 12 anni di carcere perché non sussistenti le attenuanti generiche; 11 anni e 4 mesi è – invece – la richiesta formulata per Giuseppe Varriale, 19enne.

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